"La domenica
mattina cominciò a nevicare. I fiocchi bianchi cadevano lesti e fitti, le
piccole imposte delle finestre della casa gialla si erano ingrommate di
neve...
Le padrone
di casa fecero i loro piccoli preparativi nel salotto. Non osavano metter piede
in cucina perchè Babette aveva misteriosamente scovato il sottocuoco di
una nave che era in porto -lo stesso ragazzo, scoprì Martina, che aveva portato
a casa la tartaruga- perchè l'assistesse in cucina e servisse a tavola, e ora
la donna bruna e il ragazzo rosso, come una strega col suo genietto familiare,
avevano preso possesso di quel locale. Le signorine non avrebbero potuto
immaginarsi quali fuochi ardessero o quali paiuoli gorgogliassero là dentro da
prima dell'alba.
La
biancheria da tavola e l'argenteria erano state magicamente lucidate, e caraffe
e bicchieri erano arrivati solo Babette sapeva da dove. La casa del decano non
possedeva dodici sedie per la tavola da pranzo, il lungo divano imbottito di
crine era stato trasportato dal salotto in sala da pranzo e il salotto, sempre
scarsamente ammobiliato, ora, senza di esso, appariva stranamente spoglio e
grande.
Martina e
Filippa fecero del loro meglio per abbellire quella parte di dominio domestico
che era loro rimasto. Comunque fossero i guai che aspettavano i loro ospiti,
essi non avrebbero in alcun modo avuto freddo, perchè le sorelle rimpinzarono,
per tutto il giorno, la torreggiante vecchia stufa con ceppi di betulla.
Appesero una ghirlanda di ginepro alla parete, attorno al ritratto del padre e
posarono dei candelieri sul tavolinetto da lavoro della madre che era sotto a
questo, poi bruciarono dei ramoscelli di ginepro perché la stanza avesse un
buon odore. Intanto, si domandavano se con quel tempaccio la slitta avrebbe
potuto venire da Fossum. Alla fine si misero il loro vecchio abito nero della
festa e la croce d’oro della cresima. Si sedettero, intrecciarono le mani in
grembo e si affidarono a Dio.
I vecchi
Fratelli e le vecchie Sorelle arrivarono a piccoli gruppi, ed entrarono nella
stanza lentamente e solennemente.
Quella
stanza bassa col pavimento nudo e i mobili radi, era cara ai discepoli del
decano. Fuori delle sue finestre era il vasto mondo. Veduto da lì dentro, il
vasto mondo, nel suo candore invernale, era sempre graziosamente bordato di
rosa, azzurro e rosso dalla fila di giacinti che era sul davanzale. E d’estate,
quando le finestre erano aperte, il vasto mondo aveva una cornice dolcemente
mossa di tende in mussola bianca.
Quella sera
gli ospiti furono accolti sulla soglia della porta dal tepore e dal dolce
profumo e guardarono in faccia il loro amato maestro, inghirlandato di
sempreverde.
Si sentivano
sgelare il cuore, così come le dita intirizzite……"
K.Blixen, Capricci del destino